May December (2023), recensione in anteprima: metamorfosi di una presa di coscienza

Nel montaggio sperimentale che apre Persona di Ingmar Bergman, un adolescente a torso nudo accarezza uno schermo sul quale i volti di due donne si trasformano lentamente, sbiadendo per poi fondersi. È facile immaginare Todd Haynes tentato nell’iniziare il suo May December nello stesso modo, visto che questo film infinitamente affascinante si concentra sull’offuscamento dei confini tra un’attrice di Hollywood (Natalie Portman) e il personaggio che andrà ad interpretare in futuro, un ruolo che ha un nome e un corpo vero (Julianne Moore), una donna che all’età di 36 anni è stata sorpresa in una relazione sessuale con un bambino di seconda media.

Possiamo affermare che la filmografia di Haynes è inebriante, ed egli realizza film non solo per essere guardati, ma analizzati e decostruiti. Dal ricco pastiche presentato in Far From Heaven alla svolta queer di Carol, il suo stile può sembrare freddo e distante, ma non è così per May December. Stratificato e infinitamente aperto all’interpretazione come tutti i suoi film, è anche il più generoso e diretto, a cominciare non solo dai riferimenti a Ingmar Bergman, ma anche dalle immagini di farfalle monarca, arricchiete da una lussureggiante rielaborazione al pianoforte di Michel Legrand da “The Go-Between”. Il potenziale di passione, trasformazione e sovversione invade tutta l’atmosfera.

Nei panni di Gracie Atherton-Yoo, Julianne Moore interpreta una donna che, anche dopo più di due decenni, continua a deviare le critiche del pubblico. Non ha aiutato il fatto che all’epoca fosse stato realizzato un penoso film televisivo sullo scandalo, che Haynes campiona in modo divertente a un certo punto. Ora nonna (dal suo primo matrimonio), Gracie spera che un nuovo film indipendente apporterà qualche sfumatura alla sua storia, il che non sembra particolarmente fattibile se si considerano The Staircase e altri esempi. Ma non è certo la prima ad aver accettato con ottimismo una simile offerta.

Gracie accoglie Elizabeth Berry interpretata da Natalie Portman nella casa di Savannah che condivide con Joe Yoo (Charles Melton). Joe aveva solo 13 anni quando si innamorò di Gracie. Sono stati colti in flagranza di reato nel magazzino del negozio di animali dove lavoravano entrambi. Ne seguì un circo mediatico e il loro bambino nacque “dietro le sbarre”, come urlarono i giornali di gossip.

Haynes e lo sceneggiatore Samy Burch presentano i retroscena a pezzi, consentendo al pubblico di farsi le prime impressioni su Gracie prima di scoprire il suo crimine. Il tono è fondamentale in un film come questo, e Haynes fa di tutto per evitare il sensazionalismo che ha reso “To Die For” o “Cry-Baby” così deliziosamente campy. Una delle strategie di sopravvivenza di Gracie e Joe – quelle che Joan Didion chiamava “le storie che ci raccontiamo… per vivere” – è insistere sul fatto che sono ancora innamorati. C’è chiaramente di più in questa relazione di quanto sembri, ed Elizabeth può scoprirne solo una parte nei pochi giorni in cui ha organizzato il suo viaggio per osservare la famiglia Yoo.

Mentre Elizabeth prosegue la sua ricerca, cercando di entrare nelle vesti di Gracie intervistando il suo ex marito e coloro che la conoscono meglio, ciò che segue non è semplicemente un’accattivante decostruzione del processo di un attore. È un’immersione approfondita nella psicologia di tutti i soggetti coinvolti, non ultimo di tutti coloro che sarebbero attratti da un ruolo del genere. “Sono la complessità, le aree grigie morali, ad essere così interessanti“, dice Elizabeth durante una lezione di recitazione in un liceo. Fornendo indizi che daranno i loro frutti in seguito, discute in modo inappropriato delle sfumature delle riprese di scene di sesso con questi adolescenti. La stessa differenza di età che esisteva tra la donna e la sua vittima separa Gracie da Elizabeth. Questa attrice sarà davvero in grado di rendere giustizia alla sua storia?

May December opera su differenti livelli contemporaneamente, consentendo al pubblico di speculare sulle motivazioni di Gracie (la ragione per cui siamo attratti da film come quello girato su di lei) anche mentre guardiamo Elizabeth diventare il suo personaggio. Di notte, torna nel locale che ha affittato e guarda i video delle audizioni con gli attori minorenni che potrebbero essere il suo co-protagonista, sottolineando che “non sono abbastanza sexy“. Nel frattempo le sue interazioni con Joe nella vita reale diventano sempre più civettuole, al punto che non si può fare a meno di chiedersi se Elizabeth sente di aver bisogno di sedurlo per comprendere a pieno Gracie.

Trattenendo il giudizio morale come meglio può, Haynes mantiene le scene più emotive che intellettuali, confidando che il pubblico si farà le proprie opinioni. Sebbene Natalie Portman abbia qui il ruolo più concettuale, è Julianne Moore a stabilire un punto di riferimento per la credibilità nei panni della “vera” Gracie: una donna che si descrive come ingenua, ma è fortemente interessata a come verrà ritratta alla fine – e astutamente manipolatrice nell’ottenere ciò che vuole a modo suo (notare come influenza la scelta dell’abito di laurea di sua figlia, o il modo in cui ricorda a Joe “You seduced me“).

La trasformazione più interessante di May December avviene all’interno di Elizabeth, mentre l’attrice tenta di trovare la sua Gracie interiore. Ad un certo punto, Haynes posiziona Natalie Portman e Julianne Moore davanti a uno specchio mentre Gracie esegue step-by-step la sua make-up routine. A metà della scena, passano dal fissare direttamente il pubblico al vedersi riflesse l’una negli occhi dell’altra. Qualunque sia l’intimità che queste due donne stabiliscono, Elizabeth non è interessata tanto a proteggere Gracie quanto ad arrivare alla “verità” delle sue motivazioni. Questo è l’idealistifica ineffabilità dell’arte, inevitabilmente limitata dalla distanza tra un attore e il suo soggetto.

E mentre le due donne ballano l’una intorno all’altra, con eguali dosi di sospetto e seduzione, Joe è spinto verso quel tipo di auto-esame che rischia di sconvolgere tutto ciò che sapeva e pensava di se stesso. Qui gli spunti musicali di The Go-Between ci aiutano a collocarci esattamente in un’altra storia, quella di un’innocenza rubata: nell’imponente performance di Charles Melton, Joe si rivela presto a noi sia troppo vecchio che troppo giovane per la sua età. È un padre che non riesce a connettersi col dover allontanarsi da suo figlio e un marito costretto a fare da bambino a una moglie incline ad attacchi di pianto isterici a letto. Non c’è da stupirsi che Elizabeth, con astuzia, riesca ad insinuarsi nel suo mondo con risultati sempre più pericolosi.

Con quest’opera, Todd Haynes ha creato un’incredibile miscela di pura autenticità e istrionismo stilizzato, alimentata da una curiosa indagine intellettuale: quale ruolo giochiamo nella nostra storia? Con la scelta delle attrici, Haynes offre diversi approcci alla performance che confondono ulteriormente la brillante ambiguità che pulsa nella sceneggiatura di Burch. Julianne Moore, qui riunita con il suo tanto caro regista di Safe and Far From Heaven, ha prosperato a lungo con ruoli materni a cui arriva al pubblico con un talento concreto. Un’attrice audace che affronta le sue interpretazioni con indifeso coraggio, qui capace di trasformare Gracie in una donna dolce che indossa la sua ingegnosità con tale nudità da non notare quanto non sia solo un’armatura ma un’arma subdola. La sua è una rappresentazione che rifiuta la spinta verso la coerenza, verso la storia.

All’estremità opposta dello spettro c’è Natalie Portman, che da tempo eccelle nel portare sullo schermo donne ferree ma allo stesso tempo insicure. Con una performance che dovrebbe affiancarsi a quelle nominate all’Oscar (Closer, Black Swan e Jackie), Natalie Portman interpreta ancora un altro caratteristico ritratto di una donna che seduce e viene sedotta dal brivido di chi potrebbe ancora essere. Persa in un mondo in cui tutto ciò che vede sono artisti, Elizabeth continua a trovare Gracie una persona troppo sfuggente per ancorarla con intonazioni sussurrate e fard rosa. Appropriatamente, in un tardo monologo recitato davanti a uno specchio (metafora centrale del film) in cui Elizabeth sembra finalmente catturare chi è Gracie, possiamo assistere a Natalie Portman che fa Elizabeth che fa Julianne Moore che fa Gracie in quello che è senza dubbio uno dei momenti sullo schermo più brucianti della sua storica carriera. È una scena sorprendente che ci lascia, proprio come Elizabeth, con brividi spaventosi che attraversano i nostri corpi.

May December è un bozzolo che lentamente tramuta la sua forma, in una metamorfosi in cui erge la presa di coscienza dei suoi personaggi. Una storia pungente sulla persuasione, sui pregiudizi e sulla predazione. Ingiustamente snobbato dall’Academy – la raffinata qualità del resto non è per tutti – il film di Haynes necessita d’esser visto, destrutturato, messo sotto la lente d’ingrandimento, con la stessa curiosità con cui ammiriamo una farfalla uscire dalla sua prigione e spiccare il volo.

May December di Todd Haynes vi aspetta al cinema dal 21 marzo, distribuito da Lucky Red.

-Angelica

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