#Venezia80 – Povere Creature! (Poor Things, 2023), recensione: la femminilità vittoriana agli occhi di Lanthimos

Emma Stone che dà il meglio di se stessa, Willem Dafoe uscito direttamente dalle pagine di Mary Shelley e Mark Ruffalo nei panni dell’uomo peggiore possibile sono i protagonisti di Poor Things (tradotto in italiano col titolo Povere Creature!), l’ultima fatica di Yorgos Lanthimos vincitrice del Leonde d’Oro alla 80^ Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Dai toni bizzarri e surreali, Poor Things narra la storia di Bella Baxter, una giovane donna nata da un esperimento dello scienziato pazzo Godwin Baxter. Dopo aver trovato il cadavere di una donna incinta che si è suicidata lanciandosi da un ponte e aver scoperto che il feto al suo interno era ancora vivo, Godwin sostituisce il cervello della madre con quello dell’infante, ottenendo una donna con le sembianze da adulta ma la mente di una neonata. Bella ha una crescita intellettiva molto rapida rispetto a una normale bambina e presto decide di lasciare la casa del suo creatore per esplorare il mondo. Ed è così che inizia l’avventura di Bella in un’Europa ottocentesca in stile steampunk, ricca di meraviglie, orrori e contraddizioni.

Dai sontuosi costumi di Holly Waddington, all’uso di lenti fish-eye e angolazioni insolite di Robbie Ryan, all’inquietante – e talvolta stridente – colonna sonora di Jerskin Fendrix, c’è sempre qualcosa da scrutare o ascoltare che vi terrà completamente immersi in questa storia deliberatamente bizzarra.

Quello del regista greco è sempre stato un cinema di pulsioni represse, di istinti tenuti a bada, di corpi in gabbia. Da Dogtooth, in cui i figli di una benestante famiglia vengono reclusi in casa al fine di non contaminarli col mondo esteriore, per poi passare a The Lobster in cui sentimenti e desideri non vanno di pari passo. Lanthimos offre allo spettatore variazioni esoteriche della psicologia umana, mettendo sotto la lente d’ingrandimento gli aspetti più arcani. In tutti i film di Lanthimos, gli esseri umani sembrano sempre imparare a come essere umani per la prima volta. Li vediamo cercare di capire come comportarsi, come toccare, cosa dire e interpretare ruoli imposti loro dalla società (Kinetta), da loro stessi (Dogtooth) o da qualche bolla utopica profondamente problematica progettata da un desiderio maniacale di controllare il comportamento umano (The Lobster). Ciò che è straordinario nei film di Lanthimos è che inevitabilmente sopraggiunge un punto di rottura, quando gli elementi circostanti ai personaggi sovrastano la realtà, spesso in un atto di inevitabile violenza – a volte fisica, altre volte sotto forma di rivelazione allegorica.

Yorgos Lanthimos è considerato il pioniere della Greek Weird Wave, nata come effetto collaterale della crisi finanziaria che ha afflitto il paese nel 2010. Le persone diventarono più povere, la disoccupazione salì alle stelle, il popolo greco soffrì di una depressione collettiva che si manifestò in molti modi a livello sociale (aumento dei morti e dei suicidi legati alla droga) e il pessimismo pervase l’anima della nazione per diversi anni. Il cinema, come forma di espressione artistica, non poteva sfuggire alle conseguenze di una situazione così catastrofica e i cineasti nativi hanno manifestato i loro sentimenti più intimi nel modo che conoscono meglio: attraverso l’obiettivo di una telecamera. Nei loro film hanno affrontato questioni che rimangono ancora tabù per la maggior parte dei greci e sono considerate altamente inquietanti. Hanno anche introdotto protagonisti così alienati dal loro ambiente da sembrare casi estremi di inettitudine sociale. L’alienazione, concetto chiave della filosofia esistenziale e della narrativa assurda della Greek Weird Wave, è uno degli aspetti ricorrenti nella filmografia di Lanthimos, evidenziando un certo livello di irrazionalità. E Poor Things è pregno di quel desiderio bruciante di rivalsa, di affermazione e scardinamento da un ruolo imposto da un contesto tirannico e distopico.

Poor Things e Frankenstein: quanto la storia di Lanthimos attinge all’universo gotico creato da Mary Shelley?

Willem Dafoe risponde così: “Ovviamente questa storia prende prestito a piene mani dalla storia di Frankenstein, ma c’è una grandissima differenza fra queste due storie: nella storia di Frankenstein, il mostro che lui crea, alla fine, è un qualcosa che gli suscita e gli provoca repulsione, mentre nel mio caso, il mostro o la creatura che è venuta fuori, che è stata creata, è una creatura della quale il mio personaggio quasi si innamora e fondamentalmente a questa creatura lui sta dando una seconda chance e dandola a lei la sta dando anche a se stesso. Il mio personaggio crede profondamente nella scienza e crede che questo possa essere un altro modo per poter avere lui stesso una seconda vita. È vero, la sensazione che si prova e che si ha è che sia un qualcosa di estremamente non ortodosso e assolutamente non etico, ma lui la vede come un qualcosa di generoso, positivo, entusiasmante”.

L’universo di Lanthimos, come avrete capito, è un universo fatto di stranezze e realtà oscure che attingono all’immaginario gotico culturale della nostra società e l’associazione con Frankenstein, opera prima di Mary Shelley, risulta immediata e anche molto appropriata. La storia del Dr. Frankenstein presenta delle similitudini con la storia del Dr. Godwin, ma al contempo ha dentro di sé moltissime differenze esistenziali e sociali. La storia di Shelley ha creato uno dei grandi conflitti morali della nostra società: l’uomo scienziato – e non solo – non può fare a meno di voler competere con la morta e la vita stessa; in lui si riversano i bisogni primari e impulsivi dell’essere umano di sconfiggere ciò di cui ha più paura, la fine della vita, non solo della sua, ma anche delle persone che lo circondano. Il non accettare un destino così fermo e ineluttabile porta al desiderio innato di volerlo sopraffare, trovare un escamotage, una via di fuga. Cosa fare, quindi, se non interrompere questo circolo, mettendosi tra un “piano divino” e il desiderio personale ed eterno di riuscire laddove tutti si sono arresi? Ecco che, quindi, l’uomo prende le sembianze di divinità, di dio che sceglie il confine in cui la morte non può arrivare, o quantomeno non può continuare ad esistere.

Nella storia di Frankenstein, vediamo un uomo che segue questa pulsione e alla fine l’ha vinta, ma questo andare oltre i limiti porta a delle conseguenze poco piacevoli. Il mostro – la creatura – creata dal Dr. Frankenstein è un individuo enorme, poco elegante, dalle fattezze oscure (il viso presenta i tagli della chirurgia, il corpo è un ammasso di pezzi di carne messi assieme) e presenta un carattere violento intrinsecamente. È escluso dalla società, ripudiato da essa, ma, cosa ancora più importante, dal creatore stesso; lo scienziato, infatti, rinnegherà più volte il suo legame con la creatura, la allontanerà, non la riconoscerà come propria.

Nel film di Lanthimos c’è un ribaltamento estetico e morale della visione di Shelley. La persona che presenta sembianze grottesche non è Bella, ma Godwin stesso. Seppur scomponendo il nome del creatore (God = Dio; Win = vittoria) potremmo pensare a una similitudine con il bisogno del Dr. Frankenstein di ribaltare il concetto di divinità, diventando Dio lui stesso, Godwin non presenta gli stessi desideri narcisistici e men che meno si ritrova ad essere un inventore che rifugge dalla sua creatura. Bella incarna l’ideale della purezza estetica: ha un corpo elegante e raffinato, grandi occhi chiari incorniciati da setosi capelli nero corvino e ha un animo acceso di curiosità, voglia di esplorare il mondo e soprattutto il desiderio di diventare parte di esso, cambiandolo, migliorando. Niente di più lontano dal reietto creato dal Dr. Frankenstein, che rimane odiato ed escluso. Bella è amata e venerata da tutti, porta una corrente di freschezza e cambiamento, illumina la vita delle persone, anche quella del suo creatore. Godwin prende le sembianze di padre, guida e non è facile resistere a una risata fatta di amara accettazione, nei momenti in cui Bella si riferisce a lui chiamandolo semplicemente “God! God!”.

La differenza sostanziale con Frankenstein è che la creatura di Godwin è sintomo di orgoglio e soddisfazione in una vita fatta di sofferenze e traumi; ridando la vita a una donna sconosciuta, il creatore attraversa un viaggio interno, psicologico ed emotivo, in cui raggiunge la propria salvezza. Bella Buxter è l’individuo che prende in mano la propria vita per trasformarla in qualcosa di magico, ma estremamente attaccato alla realtà, ai propri bisogni carnali e ideologici. Analogicamente, però, Bella è anche una figlia, il risultato di una creazione resa reale per scopi, che in qualche modo esulano dall’aspetto egoistico del creatore – pur trattandosi di un esperimento scientifico – e riesce abilmente a trarre il meglio dalla propria vita seghettata, frammentata e caotica, portando speranza anche in uomo che sembrava ormai alla mercé della vita e del cinismo.

Scritto da Tony McNamara e tratto dal romanzo di Alasdair Gray, Poor Things è dunque un’opera creata da soli uomini e, in quanto tale, rischiava di creare una rappresentazione spicciola di cosa sia essere una donna in una società patriarcale. Non che un uomo non possa riuscire nell’arduo compito di raccontare al meglio i personaggi femminili, ma di certo non è raro imbattersi in pellicole scritte e dirette da uomini che soffrono del cosiddetto male gaze, lo sguardo maschile attraverso cui la donna è raffigurata come mero oggetto di piacere per l’altro sesso. Eppure Poor Things riesce a raccontare la storia di una donna mostrando numerose scene esplicite e di nudità senza mai scadere nell’oggettificazione.

Il film è stato spesso paragonato a Barbie per via dei temi trattati, sicuramente anche a causa della breve distanza temporale in cui i film sono usciti nelle sale cinematografiche statunitensi, ma andiamo a scoprire più nel dettaglio cosa li accomuna.

In entrambi i film la protagonista è una donna ingenua, che non conosce il mondo reale e che deve imparare a farsi strada da sola in una società patriarcale che vede le donne come oggetti. Nel primo come nel secondo, il femminismo è trattato in termini un po’ semplicistici, ma di certo Poor Things ha la possibilità di ampliare il discorso femminista a temi più adulti, legati alla liberazione sessuale della donna, temi decisamente preclusi a Barbie anche a causa dell’ampia fascia di età a cui si rivolge. Da questo punto di vista Poor Things può essere visto come una versione più adulta di Barbie, aggiungendo nuovi tasselli all’introduzione al femminismo proposta da quest’ultimo.

I temi femministi delineati in Poor Things fanno principalmente parte della branca del femminismo definita “liberale”, in particolare per quanto riguarda l’approccio alla sessualità e le affermazioni riguardo alla prostituzione. Se il femminismo liberale si batte per la normalizzazione di ogni pratica sessuale, con lo scopo di eliminare i pregiudizi e il moralismo nei confronti del sesso praticato dal genere femminile, il femminismo radicale sostiene invece che determinati ambiti del sesso, come la prostituzione o la pornografia, altro non siano che un’estensione del patriarcato, che tramite essi non fa che aumentare lo sfruttamento e l’oggettificazione sessuale della donna.

Bella nel corso del film si dedica alla prostituzione per necessità. Rimasta sola e senza soldi, Bella sceglie la prostituzione in quanto mezzo più rapido per una donna in una società patriarcale di guadagnare qualche spicciolo. Nonostante il sesso da prostituta non sia affatto appagante, questo “lavoro” permette a Bella di ampliare i suoi orizzonti. Grazie a esso Bella incontra persone che la accompagnano nella sua crescita ed è proprio in questo periodo della sua vita che si approccia allo studio e arricchisce il suo bagaglio culturale. Il film sembra dunque abbracciare pienamente l’idea della prostituzione come forma di liberazione sessuale della donna.

Ma sarà davvero tutto qui?

I concetti del femminismo liberale a cui Bella aderisce nel corso del film fanno parte del suo processo di crescita personale. È assolutamente normale che molte donne, anche nella vita reale, abbiano dapprima un approccio liberale al femminismo, tramite cui prendono coscienza della loro femminilità da un punto di vista individuale e imparano a scoprire ogni lato di loro stesse. Ma poi entra in gioco un secondo elemento, la realizzazione che il proprio essere donna va inserito in un contesto più ampio, in cui è l’uomo a dominare. Questo porta le donne a riflettere sul proprio ruolo nella società e a scontrarsi con la dura realtà del mondo.

Non bisogna dimenticare che Bella parte da zero, non sa niente del mondo e quando scappa è ancora mentalmente una bambina, è dunque logico che lei impari a conoscere se stessa e la realtà che la circonda un passo alla volta. Il film mostra solo i primi passi di Bella nel mondo reale. Ogni volta che Bella impara qualcosa su se stessa, viene posta di fronte a una nuova triste verità sulla società patriarcale, che la costringe a perdere un po’ della sua ingenuità e a cambiare alcune delle sue precedenti convinzioni. Ma alla fine cos’è la vita se non una stratificazione di verità nascoste? Più Bella fa nuove esperienze, più è costretta a cambiare, ma sta a lei scegliere se questo suo cambiamento la porterà a prendere in mano il proprio destino o se invece le causerà un totale disincanto di fronte alle crudeltà della vita.

Che uno sia d’accordo o meno con i concetti liberali nel film, non si può certo negare che il femminismo sia solo uno dei numerosi temi trattati da Poor Things. In quanto donna, è inevitabile che Bella entri in contatto con questioni riguardanti il femminismo nel suo processo di coming-of-age, ma affermare che Poor Things sia esclusivamente un film femminista è a dir poco riduttivo. Durante la sua avventura nel mondo esterno, Bella impara a conoscere e gestire le proprie emozioni e sensazioni, la gioia, la rabbia, il piacere, la tristezza, scopre tutte le ingiustizie che affliggono il mondo, come la povertà, le ineguaglianze sociali, il patriarcato, il classismo, ma scopre anche i valori dell’amicizia, dell’amore, della fiducia, della lealtà. In poche parole, Bella impara che il fascino dell’essere vivi sta proprio nelle contraddizioni che la vita stessa offre, nel bene e nel male.

Bella Baxter scopre la filosofia della vita. La sua mente così espansa guarda con sospetto la miopia intellettiva del suo amante. “My heart has become dim towards your swearing, weepy person“, confessa a Duncan. Ed è nel momento in cui deve provvedere a se stessa che è possibile cogliere l’allegoria del film: Bella è la femminilità vittoriana infantilizzata, una donna adulta spinta dal controllo degli uomini a vivere la sua vita come una bambina. Trova la redenzione prendendo il controllo del suo destino, del suo corpo e della sua mente. Il motivo per cui l’allegoria funziona, però, è la vividezza con cui vediamo la radiosa mente appena nata di Bella abbracciare tutto ciò che la vita ha da offrirle: sesso, cibo, musica, viaggi. Sembra osservare la propria esistenza con il feroce distacco scientifico che ha imparato dal suo Dio. Di fronte a una scelta, è chiaro a Bella quale sia la cosa saggia da fare ma è proprio l’opzione che tende ad ignorare. È una gioia ammirare Bella navigare nel mondo: rimpinzarsi di pasticcini, muovere i fianchi in una sorta di danza d’avanguardia, discutere le complessità del consenso con i suoi clienti sessuali.

La Bella di Emma Stone può essere egoista, impulsiva e crudele, ma anche fieramente intelligente, spiritosa e premurosa. Lanthimos ha raramente espresso molto affetto per i suoi personaggi, ma chiaramente questo lo ama da morire, realizzando un film che, anche nella sua forma più stravagante, ha il cuore al posto giusto.

Povere Creature! arriverà nelle sale italiane dal 25 gennaio, distribuito da The Walt Disney Company Italia.

– Francesca, Tiziana, Angelica

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